Favola dei tre fiori
C’erano una volta tre fiori, nati nello stesso giorno di sole e nello stesso prato rigoglioso, simili perché della stessa specie, ma dissimili in quanto ogni componente di una specie è, in sé stesso, una specie a sé, differenziato non solo da elementi formali ma anche e, soprattutto, dal diverso modo d’essere.
Questi tre fiori appartenevano a una specie che, per ragioni biologiche, richiudeva la corolla al tramonto per riaprirla non appena il sole illuminava l’aria.
Nel loro mondo, da fiori, tutte e tre le creature avevano i loro pensieri.
Quando si avvicinò il loro primo crepuscolo – cosicché la reazione di chiusura della corolla avrebbe dovuto venire messa in atto – il primo fiore così andò pensando mentre, con riluttanza, ripiegava i petali in uno stretto bocciolo: «Com’era bello il sole, com’era caldo, quanta energia e quanto piacere mi davano la sua luce e il suo calore.
Ah, che nostalgia sento già di lui! Come vorrei che le ore appena passate durassero in eterno, in modo da non dover soffrire mai, neppure per il più breve attimo, questa privazione!»
Incominciò così a commiserarsi e ad immergersi sempre più nel ricordo delle ore trascorse tanto che, quando il sole si alzò nuovamente nel cielo, i raggi che egli tanto rimpiangeva – pur se caldi come sempre – non riuscirono a penetrare la barriera della sua commiserazione e alfine il primo fiore, non potendo usufruire in pieno dell’energia solare, poco a poco si reclinò sul gambo ed appassì.
Nel frattempo il secondo fiore, appena si era reso conto che l’astro diurno stava calando all’orizzonte, così si era detto: «Lo sapevo che non poteva durare a lungo, sarebbe stato troppo bello! Ecco, vedo gli altri che già chiudono i petali, rassegnati alla notte.
Ma come possono essere così stupidi? Se la notte c’è essa pure deve essere vissuta a testa alta; perché rinunciare a una parte di domani?
Bisogna vivere per il domani, non in funzione del passato, e io farò così: resterò aperto tutta la notte in modo che non perderò neppure un raggio di sole del mattino in quanto non dovrò sprecare tempo per aprire i petali, ma sarò di già proteso ad assimilare tutta la dolcezza che il sole, senza dubbio, elargisce fin dal suo primo istante.»
E così fece. Ma la notte che ebbe, in vista del domani il quale aveva mosso le sue azioni, era fatta di buio, di umidità e di gocce di rugiada che trovandolo tutto aperto, lo inzupparono tanto che il sole del mattino non riuscì ad evitare che egli, velocemente, marcisse.
Il terzo fiore aveva osservato con un attimo di rimpianto il calar del giorno, e poi così aveva ragionato: «Certamente è stato un giorno meraviglioso e, ancora di più, certamente anche la notte avrà le sue meraviglie dentro di sé. Tuttavia perché pensare con rimpianto e tormento a ciò che è stato? Nel mio «adesso del giorno» io ero felice, io ero un fiore che si lasciava avviluppare dall’abbraccio del sole, ma nel mio «essere di adesso» io sono un fiore che richiude i suoi petali alle ombre della notte.
Certamente c’è un perché a tutto questo, anche se non riesco a capirlo; io ho coscienza di quello che sono, istante per istante, e di quale sia la mia natura. Perché non essere, dunque, ciò che ora – in questo attimo che è il mio presente ora, ma che è stato il mio futuro e che è già diventato il mio passato – io devo essere?»
Così ragionando chiuse tranquillo la sua corolla e dormì fino a quando i primi raggi del sole non gli dettero il segnale che il «nuovo presente» stava incominciando.
Non ebbe nessuna punizione per il suo pensiero né, tanto meno, da ciò che aveva ragionato ricavò alcun premio particolare.
Semplicemente visse da fiore del giorno la sua vita di fiore del giorno.
La discussione tra i partecipanti, qui omessa.
Incontro con le Guide
Siete stati bravini, come al solito: avete cercato di sviscerarla, di analizzarla però, rispetto alle altre volte, ho avuto l’impressione (ma è solo un’impressione mia, può darsi che mi sbagli, naturalmente) che vi siate trovati un po’ in difficoltà, come se vi fosse qualcosa che vi sfuggiva vero
Siete riusciti ad individuare che cosa vi sfuggiva? Tutto quello che avete detto era giusto, certamente dava l’idea di quelle che potevano essere state le intenzioni di Ananda nel portarvi questa favola, tuttavia sembrava che, sotto sotto, ci fossero altri scopi, altre mire, altre cose che, forse, l’amico che aveva raccontato la favoletta voleva dire. Avete qualche idea in merito?
D – No!
D – Anche perché quando crediamo di aver analizzato le fiabe sotto ogni aspetto voi riuscite a farci notare sempre cose che non avevamo considerato.
Intanto si poteva analizzare, secondo me, sotto un altro punto di vista.
Voi l’avete analizzata, ad esempio, dicendo che il primo fiore viveva soprattutto in ragione del passato, il secondo fiore era proiettato verso il futuro mentre il terzo fiore viveva il «carpe diem» di lontana memoria, viveva nel «qui ed ora»…
Bene, poteva essere anche analizzata sotto un altro punto di vista, cioè «il prendere coscienza di se stessi, del proprio ruolo», naturalmente non del ruolo che vi viene imposto dalla società, ma del ruolo individuale, il ruolo interiore che ognuno di voi, come tutti quanti penso sappiate, ha nel palcoscenico della vita, come dicono le Guide.
Questa poteva essere un prospettiva che è diversa dall’altra, vi sembra?
D – Spiegaci un po’ perché è diversa…
L’accettazione del proprio ruolo, cioè il fatto che ogni individuo ha un compito ben preciso.
D – Ma non avevamo considerato questo aspetto nella discussione?
L’accettazione del proprio ruolo no.
È un compito ben definito l’accettare la propria realtà, il prendere coscienza di se stessi come ruolo… come attore, diciamo, della commedia della vita.
E, quindi, il comportamento di quel fiore che rimugina sul passato poteva essere soltanto un aspetto collaterale.
D – Per ruolo intendi il mettere in atto il talento ricevuto?
Intendo «essere quello che si è» quando, naturalmente, si riesce a scoprire quello che si è.
Diciamo che anche il comportamento del primo e del secondo fiore poteva anche non essere sbagliato, nel senso che loro sentivano di essere diversi dal terzo fiore, però, forse, era il modo di mettere in atto il loro essere diversi che era sbagliato e quindi ha portato a quella sorta di «punizione» che li ha condotti in questo caso all’autodistruzione.
Questa poteva essere una prospettiva che secondo me valeva la pena di essere analizzata ulteriormente.
D – Ognuno ha il suo compito però se non lo svolge bene lo deve rifare?
Ma… dipende, sai… (e qui ritorniamo sempre allo stesso discorso) dipende da come lo svolge. Non nel senso se lo svolge bene o male, perché uno potrebbe svolgerlo male però lo svolge male perché «sente» di comportarsi così e, quindi, tutto questo non è condannabile! Se, invece, uno lo svolge male, in malafede, allora la situazione è diversa e questo mi sembra abbastanza logico.
Ripeto che i ruoli di cui parlo non sono i ruoli che vi impone la società, questo va specificato: non il maschietto e la femminuccia con tutte le distinzioni che ci stanno nel mezzo…
D – Quindi noi abbiamo posto attenzione più sui limiti… sul prendere coscienza dei propri limiti invece di prendere coscienza del proprio ruolo.
Prendere coscienza del proprio essere, non dei propri limiti.
Nel fatto di prendere coscienza del proprio essere è intrinseco il fatto di prendere coscienza dei propri limiti, questa è soltanto una conseguenza.
D – Potresti farci un esempio del proprio ruolo?
D – È piuttosto difficile capire qual è il proprio ruolo!
D – Il proprio ruolo non rispetto alla società, ma a noi stessi?
Tu sei un individuo e sei responsabile del tuo comportamento perché sei responsabile verso i tuoi fratelli e, quindi, tutto quello che tu fai lo devi fare per il bene di tutte le persone che sono attorno, accanto a te e che vivono con te.
Il proprio ruolo è questo: tu non sei qua solo per te stesso, perché tu sei un aspetto dell’Assoluto, di Dio, sei solo una sfaccettatura e, quindi, comprendere e accettare questo significa arrivare a un modo di essere e di comportarsi completamente diverso da quelli che sono i canoni comuni.
In primo luogo c’è il superamento dell’egoismo, per arrivare, poi, all’altruismo vero e proprio, spassionato.
Come vi sento silenziosi…
D – Stiamo meditando
D – È difficile conciliare le due cose.
È difficile anche perché avete molte sovrastrutture, avete molti condizionamenti… sono tutte cose che dovete imparare «a buttare via» per essere «nuovi ogni giorno» come dicono le Guide.
Poi, la favola poteva essere vista anche sotto un altro punto di vista.
D – Quale?
Per quanto riguarda per esempio l’ultimo fiore, avete pensato a quello che avrebbe potuto pensare il giorno dopo?
D – Che il miracolo si era rinnovato, la gioia di vivere….
Il giorno dopo il fiore si risveglia, grazie ai raggi del sole vive un’altra stupenda giornata, un’altra mattinata.
Nel corso di quella mattinata, mentre lui è lì, bello aperto, arriva un’ape che gli titilla i pistilli e questa è un’esperienza nuova che il giorno prima non aveva vissuto; poi – mettiamo – nelle prime ore del pomeriggio comincia ad annuvolarsi e nel tardo pomeriggio comincia a piovere; così avrà altri stimoli diversi.
Avrà pensato sempre in maniera uguale secondo voi oppure no?
Avrà continuato a vivere semplicemente la sua vita di fiore o avrà messo in discussione le conclusioni a cui era arrivato il giorno prima?
D – Avrebbe accettato le esperienze
D – Questo fiore si conosceva, mi sembrava molto sicuro.
Ma in base a stimoli differenti cosa avrebbe potuto fare secondo voi?
D – Ha detto «io vivo, qui ed ora, e quindi affronterà ogni esperienza»…
Bravi, devo farvi i complimenti!
D – Non avevo pensato al ruolo, ma è molto utile stare attenti a tutte le sfaccettature, bisogna… andare avanti.
Sì, certo, se tutto è Uno e uno è Tutto questo è soltanto un aspetto del Tutto, no? Ognuno ha un compito ben preciso, e non soltanto gli esseri viventi nel senso di uomini, ma tutto il creato, quindi gli animali, i vegetali e i minerali.
D – Quindi trovando benefica sia l’ape che la pioggia si è ampliato in questo modo il suo sentire no… ha avuto un avanzamento?
Certamente, avrà fatto un salto di qualità. Diciamo sono esperienze in più che danno una visione più ampia della Realtà. Se il primo giorno era stato stimolato soltanto dai raggi solari e dal loro calore, il secondo giorno aveva ricevuto degli stimoli in più che, pur vivendo con la stessa tranquillità, certamente lo aiuteranno ad ampliare la proprio visione della Realtà e, quindi, di conseguenza, il sentire. Ed è probabile che dopo il tipo di esperienze quel fiore sia diventato, che so … tanto per dire una scemenza… più mistico.
D – Stavo pensando che se fosse passato un villeggiante e avesse raccolto il fiore, quest’ultimo avrebbe accettato il suo destino con umiltà, avrebbe accettato il ruolo di donare gioia a prezzo della vita?
Certo, sarebbe stato ben lieto di essere uno strumento di piacere per un’altra creatura.
D – Essere consapevoli anche…
E sì, prendere coscienza di se stessi è poi, in fondo, l’essere consapevoli, non è che vi sia molta differenza. Ecco tu dici «essere consapevoli» ma di che cosa?
D – Del proprio ruolo.
Della propria realtà, del proprio inserimento nella Realtà.
D – Però una Realtà che è formata da tantissimi attimi, che non ha tempo ed è in continua mutazione… mi sfugge il senso di questa realtà fisica: come si fa per avere coscienza di qualcosa che in definitiva non ha tempo, non ha uno svolgimento reale. Se tu mi dici che il giorno dopo sono un fiore completamente diverso… come faccio a trovare un legame dei vari giorni uno rispetto all’altro se ogni giorno si muore e si rinasce come se si trattasse di un essere completamente diverso?
Il morire a se stessi (e il rinascere nuovi ogni giorno che, poi, son quasi la stessa cosa) significa semplicemente saper buttare via le verità costituite.
Quello che fa parte del sentire, invece, (a parte il fatto che proprio non ci riusciresti neanche a buttarlo via) resta, è un segno indelebile, è un qualcosa che fa parte di te, del tuo modo di essere, e nessuno, neppure te stesso, riuscirà a cancellarlo, in quanto è una cosa ben diversa.
Quando le Guide dicono «nascete nuovi ogni giorno» intendono dire di buttare via tutte le sovrastrutture, i condizionamenti, tutto quello che può condizionarvi nell’osservare la realtà e che, quindi, vi impedisce in qualche modo di accrescere il vostro sentire, la vostra coscienza.
Il fatto che, poi, la Realtà sia in un continuo mutamento, è una illusione, perché la Realtà è immobile secondo le Guide: il movimento, il mutamento sono soltanto una proiezione del mutamento che avviene interiormente, in quanto tutto è statico, tutto è lì, fermo, scritto nell’Eterno Presente. È il tuo stato interiore che ti fa percepire il movimento esterno, perché sei tu che ti muovi in te stesso… e anche tutti gli altri non soltanto tu…
D – Sì credo di aver capito.
D – Ritornando al compito si capiscono anche i propri limiti però?
Certo, infatti come avevo detto prima prendere coscienza del proprio ruolo, del proprio compito, comprendere come realtà intrinseca il fatto di prendere consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità, però anche i limiti che via via diminuiranno mentre le capacità aumenteranno naturalmente, questo grazie all’ape che titilla i pistilli e così via…
D – Mi è difficile comprendere il concetto di Eterno Presente, visto che sono abituato alla scansione del tempo. Per esempio: qual è la differenza temporale tra la dimensione in cui tu vivi e le nostra?
Io ti posso dire semplicemente questo: ogni piano di esistenza ha un suo tempo, ha un suo modo di scorrimento del tempo; quindi, tanto per fare un esempio, potrei dire che un’ora del vostro tempo potrebbe corrispondere a tre anni del piano astrale.
Questo per darti una misura, perché poi in realtà non è affatto così, però ti può dare un’idea della relatività del tempo.
Quando si dice che nell’Eterno Presente (che è oltre il piano akasico) il tempo non c’è, tutto quanto è immobile, vuol dire che la vostra ora là è semplicemente un fotogramma messo lì, ed è soltanto l’osservatore che vede il trascorrere del tempo passando da un fotogramma all’altro.
D – Scusa, volevo chiederti questo: visto che tutto è già stato scritto, è già stato predeterminato…
Non mi chiedere perché!
D – No, se una persona doveva morire e poi è stata salvata, in realtà non doveva morire, doveva solo fare quell’esperienza, perché se è già stato scritto, se come hanno detto le Guide la nostra vita termina né un giorno prima, né un giorno dopo, né un attimo prima, né un attimo dopo a quello che è stato scritto quindi non è stato salvato nessuno.
Sì, è così, si muore solo nell’attimo esatto che è stato prestabilito. Diciamo che detto così, naturalmente, i miracoli della medicina, in un certo senso, non esistono affatto!
D – Si dice: ecco adesso c’è la dialisi e quelle persone lì vivono un po’ di più, ma non è che vivono un po’ di più, è stato determinato che debbono vivere quel tipo di vita così.
Sì, è vero, però questo non deve indurre alla staticità. Bisogna fare molta attenzione: conoscere queste verità può portare all’errore di dire «allora io mi siedo lì, sto lì a guardare che l’erba cresca» e invece no, se i medici non si fossero… «illusi» – illusi nel senso che intendono le Guide, ovviamente – di compiere dei miracoli, la medicina non sarebbe arrivata ai risultati a cui è arrivata e, probabilmente, quelle vite sarebbero state scritte con meno fotogrammi.
Diciamo che un certo legame c’è, se vogliamo, anche perché tutto è evoluzione e, quindi, è chiaro che anche le scienze, per quanto empiriche come la medicina, hanno la loro evoluzione. D’altra parte, non so se avete sentito gli ultimi avvenimenti di donne che hanno abbondantemente superato l’età feconda e che vengono inseminate artificialmente… questa è una nuova prospettiva di realtà che porterà, come conseguenze, dei problemi non indifferenti e nuovi modi di fare esperienze, e per la madre e per il figlio.
D – Quando c’è la morte apparente in cui tante persone riescono a vedere, ad aprire uno spiraglio sull’aldilà, sono cose vere o no?
Sì, alcuni casi sì.
D – Quando ci raccontano di essere stati attratti dall’altra parte, di aver visto una gran luce e persone care morte da tempo che gli stanno intorno, e ricordano tutto perfettamente…
Sì, sì, in alcuni casi sono episodi genuini; in altri può esserci un po’ di costruzione e falsi ricordi perché voi sapete che la mente umana è molto complessa.
D – Mio marito a nove anni era malato di tifo; allora non c’erano medicine che potessero curarlo e si ricorda di aver avuto un’esperienza simile, se lo ricorda proprio bene!
Senz’altro nel caso del nostro amico che stasera non è presente, la cosa era reale e forse questa esperienza gli è stata, per il resto della sua esistenza, di grande aiuto e di grande conforto; diciamo che ha limato certi aspetti di quello che sarebbe stato un suo carattere e lo ha portato ad essere la persona piacevole che è attualmente…
D – Ritornando al «tutto era stato predetto», è possibile che in questo ambito venga spostato o cambiato qualcosa? Ad esempio una madre sterile che, di punto in bianco, viene «miracolata» e ha un bambino, come si spiega?
Qua entriamo in un campo veramente difficile, perché dobbiamo parlare di varianti…
Allora: io prima ho detto che nell’Eterno Presente esistono tutti i fotogrammi dell’esistenza degli individui, di tutti quanti. Però non è un fotogramma unico, non è come una bobina cinematografica: ci sono, per ogni esistenza, delle possibilità di variazione a seconda delle scelte (scelte interiori, naturalmente), che l’individuo compie.
Ora, nel caso che tu dicevi della madre sterile che piange per anni e anni perché non riesce ad avere un bambino, chiaramente quella è una situazione karmica; quindi, per quanto riguarda la sua esistenza esistono varie possibilità: o lei comprende il karma, quindi scioglie questo karma, e le viene offerta la possibilità di avere il figlio (e questa è una variante), o lei non comprende il karma, non lo scioglie e non avrà il figlio (e questa è l’altra variante).
Oltre a questo, poi, vi sono altre possibilità, altre differenze a seconda proprio delle scelte interiori che vengono fatte ma, ripeto, questo è un campo veramente molto, molto complicato.
Comunque sia, per semplificare le cose, diciamo che nell’Eterno Presente è scritto tutto, anche le varianti, tutte le varianti.
D – In poche parole siamo noi i registi?
Più che voi il regista è il vostro sentire, la vostra coscienza. Quindi, a questo punto, se proprio vorrete prendervela con qualcuno, quando rivedrete la vostra vita, dovrete prendervela soltanto con voi stessi per le vostre scelte sbagliate, perché non ci sarà stato nessuno che vi avrà indotto a fare una scelta piuttosto che un’altra.
D – Cosa rispondere, allora, ad una donna che si dispera perché non può avere un figlio e non conosce niente di questi insegnamenti? Non le puoi mica parlare del karma! Io ho un’amica in questa situazione e cerco anche di parlarle del karma ma (facendo un gioco di parole) il karma non la calma!
E lo credo! Ecco, qualcuno oggi diceva che il fatto di essere a conoscenza di queste cose può aiutare, ma è vero solo fino a un certo punto, perché queste cose che noi vi veniamo a raccontare da quindici anni (e altri prima di noi hanno raccontato) sono, in realtà, soltanto un supporto mentale per voi, perché se quanto noi vi veniamo a dire voi non lo sentite, non fa parte del vostro essere interiore, di fronte a una situazione drammatica soffrirete tanto quanto una persona che di queste cose non sa assolutamente niente; e nelle situazioni in cui voi, come supporto mentale, dite: «Ma le Guide hanno spiegato che c’è il karma e così via» vi fornite una scusa a livello di mente, ma se non lo sentite interiormente, credetemi, soffrirete anche voi, come le tante persone che sono all’oscuro di tutto questo.
Quindi può essere che persone che non sono a conoscenza di queste cose abbiano già un tale sentire per cui, di fronte a una sofferenza, soffrono meno di quanto, magari, soffrireste voi. Gneus
Essere consapevoli del compito,
del ruolo che la vita di ogni giorno vi induce ad assolvere…
Ma quale è questo compito?
Quale può essere questo ruolo
che deve portare ognuno di voi,
così come ognuno di noi,
a vedere il suo simile come una parte di sé?
Il compito è quello di asciugare la lacrima
non appena essa spunta dal ciglio dell’amico;
è quello di tendere la mano per porgere aiuto
prima ancora che questo venga richiesto;
è quello di sorridere con chi è felice
e d’indurre al sorriso chi felice non è;
è quello di sorreggere
il fratello che sta per cadere;
è quello di non condannare il fratello
che ormai è caduto;
è quello di non giudicare
se l’altro che sta di fronte non la pensa come te
ed è completamente diverso da te.
È quello insomma, sorelle,
è quello insomma, fratelli,
di dimostrare anche nel più piccolo gesto
che tutto quanto è solo Amore. Viola
Grazie…
No n avevo interpretato la favola dal punto di vista del ruolo, che ho capito anche grazie a Viola. Noi diremmo :”procedere da ego ad amore”.
Il post tocca poi moltissimi argomenti in parte conosciuti, in parte da approfondire.
Tutto quanto è solo amore
Essere una sfaccettatura dell’Assoluto. Mi capita di pensarci, quando mi focalizzo sul fatto di avere coscienza di me come “io” separato.
Il pensarsi sfaccettatura stempera il senso dell’Io e nello stesso tempo rinforza il senso di responsabilità di essere quello che si é.
Possiamo negare noi stessi, condizionati da un senso di inferiorità oppure sopravvalutarci, condizionati da un bisogno di riconoscimento.
Autosvalutazione ed orgoglio sono due facce della stessa medaglia e derivano da una percezione di noi stessi basata sul senso di separazione e alimentata dal confronto con i nostri simili.
Prendere coscienza di noi stessi come “aspetti dell’Assoluto”, ci libera da questi condizionamenti e ci apre all’umiltà e nello stesso tempo alla dignità di essere quel che si è.
Grazie
Interessantissimo
La consapevolezza del ruolo che ognuno riveste all’interno del proprio ambiente
di vita implica un certo grado di sentire. Implica cioè la capacità di visione distaccata rispetto al proprio ombelico.
Concetto in continua analisi poiché anche questa consapevolezza si scopre passo dopo passo, giorno per giorno, esperienza dopo esperienza.
L’altro pilastro da tenere a mente è quello di accettare di essere ciò che si è. E questo essere è comprensivo dei propri limiti, che si modificano continuamente perché ben sappiamo che la scopo di ogni cammino è quello di ampliare lo sguardo, quello di ampliare, a poco a poco, la visione della Realtà.
Grazie