D – Se io mi trovo in una determinata situazione e mi riconosco che sono egoista, questo entra subito in me, avendolo capito e riconosciuto, oppure ci vogliono ancora tante esperienze perché arrivi la comprensione?
Io direi che ci vogliono ancora esperienze solamente per questo motivo: perché quando si cerca di comprendere qualcosa che riguarda il proprio Io, il proprio modo di essere, cosa accade? Accade che si osserva il proprio comportamento e – come voi sapete – un comportamento non è mai semplice da comprendere, ma è sempre fatto di diverse componenti.
Ad esempio, sapete – dalla presenza dei vari corpi che possedete – che in un’azione che compite:
– vi è una componente fisica, che vi dà il movimento, che vi permette di fare l’azione;
– vi è una componente emotiva che spinge l’azione;
– vi è una componente psichica – mentale più che psichica, veramente – che dà il supporto di logicità, di ragionamento, a tutta l’azione.
Non soltanto, ma poi vi è anche, chiaramente, la componente proveniente dall’akasico, dalla coscienza, cioè la spinta verso l’esperienza e la comprensione.
Ora, quando voi cercate di comprendere il perché del vostro Io, del vostro agire – perché poi, in realtà, lo si può intendere come azione all’interno del mondo fisico, come vostro modo di essere in movimento in reazione col mondo, con l’ambiente – allora credete di aver individuato un perché della vostra azione, ma il più delle volte avete individuato un aspetto di questo perché.
Finché non avrete compreso interiormente tutta l’esperienza nel suo insieme, questa non è compresa e superata totalmente e il vostro comportamento non si modificherà totalmente.
Si modificherà, magari, una parte del vostro comportamento però, se non avete compreso il desiderio che vi spinge a comportarvi, come Io, in un certo modo, questa spinta ci sarà ancora. Scifo
D – Allora praticamente quando si amplia la consapevolezza, quando si raggiunge un grado superiore nell’evoluzione, ci si rende conto che quello che si credeva l’Io non era altro che una marionetta, un burattino?
Ma neanche! Io direi che non è neanche quello. E’ la “vernice” che sta sopra al burattino, tuttalpiù, ma non è il burattino. O per lo meno – ancora meglio – è il “modo” di interpretare quella vernice che sta sul burattino.
D – Scusa, è stato detto molte volte – e tutti lo sappiamo a livello mentale – che è molto soggettivo quello che ognuno di noi percepisce e capisce dell’insegnamento, e infatti ne abbiamo parecchie prove. Ad esempio il comportamento, appunto, questa nostra manifestazione, quando noi in una situazione stiamo male e, logicamente, si tenderebbe a scappare, io certe volte sono in dubbio se interpretare questo voler cambiare la situazione sgradevole – che però è la “nostra” situazione – andando via per cercare di modificarla mi sembra una fuga. D’accordo che forse si dovrebbe parlare più nel particolare, forse è troppo generale così, comunque anche un lavoro, una situazione familiare che proprio non si riesce a sopportare, l’evadere, il cambiare vita, il cambiare lavoro, è una fuga o si può intendere (qualcuno lo intende) come un proprio “diritto” alla propria pace?
Io sarei dell’idea che quando si fugge davanti a qualche cosa è solo un rimandare il problema, perché, tanto, il problema tornerà: cambieranno gli attori, cambierà lo scenario, però il problema si ripeterà lo stesso.
Sapete che quando le esperienze vi arrivano per essere comprese, se non sono comprese si ripresenteranno (più o meno simili, più o meno con le stesse persone o no), però si ripresenteranno nuovamente. Quindi, a rigor di logica, quando uno si trova in una situazione spiacevole sarebbe meglio, se non vuole che questa situazione si ripresenti, che l’affrontasse direttamente. Scifo
D – E quindi si rimane e si accetta, o meglio: si cerca di comprendere e di vivere quella situazione fino a dove la strada ci porterà.
Quello che tu dici implica un seguire la situazione, un andare avanti a testa bassa; cioè: “Nella situazione mi ci immergo dentro a capofitto, l’ho voluta io e allora mi pago la sofferenza fino alla fine!”.
Non va bene neanche questo in realtà: quello che sarebbe giusto fare sarebbe invece cercare di capire “come si è fatto ad arrivare a quella situazione”, perché le responsabilità soggettive, se si arriva in una situazione, vi sono sempre, altrimenti la situazione non potrebbe insegnare nulla!
Molto spesso non è che si possa rimediare a una certa situazione, però si può arrivare a comprendere dove si è sbagliato per arrivare a quella situazione.
D – Però, da allora in avanti la situazione non cambierà, perché – essendo complicata da moltissimi fattori – non si può sperare di modificarla, di aggiustarla, di cambiarla, e allora qual è l’atteggiamento che uno può prendere? Scappare no, perché appunto non risolve niente; fare: non esiste il “fare” a livello oggettivo; quindi… stare lì, tenerla (è brutto dire “sopportare” perché è un modo, un atteggiamento sbagliato il sopportare), ma essere consapevoli che è necessaria, essere consapevoli che non si può fare niente, l’importante è sapere che cosa l’ha portata a basta?
No, no, no. Essere consapevoli che non si può fare niente no, assolutamente.
Essere, invece, consapevoli che tutto quello che si può fare è cambiare se stessi, in modo da cambiare quegli elementi della situazione che sono “mia” responsabilità, o “tua” responsabilità.
Nel momento in cui sai che tu non hai alcuna responsabilità di quanto sta succedendo, allora, da quel momento in poi sì, puoi dire: “la situazione vada avanti così perché io non ho più alcuna responsabilità in merito”.
D – Mettiamo che uno si renda conto che però in quella situazione ha determinate reazioni emotive e mentali dovute alla sua struttura, allora come si deve regolare? Perché sa che in quella determinata situazione c’è quel problema, però ha sempre quel tipo di reazione emotiva e mentale.
Deve imparare a cambiare il suo tipo di reazione, è evidente! Quindi deve imparare a comprendere il perché della sua reazione e riuscire a modificarla. Georgei
D – Però, scusa, dicevi, se non ho capito male: evitare i due eccessi opposti, cioè di buttarsi a capofitto nell’azione, ecc., però qual è il sistema per arrivare… se non quello di vivere l’esperienza giorno per giorno, cioè a costo anche di ripeterla, quali altri segnali ci sono se non questi?
Il modo migliore per cercare di uscire da questa situazione – per ritornare a quanto dicevamo prima – non è altro che quello di comprendere il proprio Io, le proprie motivazioni nell’essere arrivati a quel tipo di situazione.
Però – come dicevamo sempre anche prima – non è facile riuscire a guardare il proprio Io ed arrivare da questo, risalendo attraverso la sua immagine, le sue reazioni, a quelli che sono i propri perché interiori, le proprie motivazioni, i propri stimoli.
Forse la cosa migliore – più facile, per lo meno in molti casi – è quella di cercare di scindere questo Io nella sue varie componenti.
Cercherò di spiegarmi meglio, se ci riuscirò: ogni volta che l’Io si manifesta all’interno del piano fisico, la sua azione – come prima vi diceva qualcuno – contiene degli impulsi fisici, degli impulsi del corpo astrale, degli impulsi del corpo mentale, i quali sono in qualche modo – come voi sapete – mossi dai bisogni della vostra coscienza, dal vostro bisogno di comprendere determinate cose, e quindi già vi possono dare delle grandi indicazioni su ciò che voi dovete arrivare a capire.
Bisognerebbe, quindi, riuscire appunto ad esaminare le proprie azioni – ovvero il proprio Io – secondo queste direttive.
Immaginiamo, per fare un esempio concreto – che so? – una figura tradizionale: quella del “dongiovanni”, il quale passa di avventura in avventura e non riesce mai ad essere soddisfatto di questo continuo passare, appunto, di avventura in avventura.
Chiaramente, se la possibilità di compiere questa azione gli si presenta in continuazione vuol dire che vi è qualcosa che egli deve comprendere da questo manifestarsi dell’esperienza. Vi sembra giusto, figli?
La prima ipotesi che può venire, scindendo queste reazioni dell’Io nelle componenti che dicevamo, è pensare che queste reazioni provengono dal corpo fisico che l’individuo possiede, ovvero che abbia – ad esempio – una sessualità talmente prorompente per cui, di fronte ad una avventura amorosa perda, come si suol dire, i sentimenti e si getti a capofitto all’interno della situazione, senza comprendere più nulla. E questo potrebbe essere anche un motivo: ricordate che anche il vostro corpo è un motivo di esperienza, un elemento utile per comprendere.
Però vi è la componente emotiva, sulla quale pensare un attimo.
Potrebbe essere – esaminando l’esempio in questa prospettiva – che il nostro dongiovanni esca da ogni avventura, in realtà, insoddisfatto. Questo sta a significare che ciò che il suo desiderio cercava attraverso le altre persone, attraverso questa fisicità, in realtà non veniva trovato; e allora questo dovrebbe poter far pensare che è possibile trovare un “perché emotivo”, un desiderio insoddisfatto che spinge verso questa insaziabile catena di avventure.
Vi è, poi, la terza componente: la componente mentale. Senza dubbio essa esiste, altrimenti le azioni sarebbero prive di senso. E se la componente mentale presuppone una certa logicità nelle azioni, questo significa che vi è un “perché” logico, un “perché mentale” che spinge il nostro dongiovanni a volare – come si suol dire – di fiore in fiore. E se questo volare continua, significa che questo pensiero in qualche modo è sbagliato, questo concatenamento logico è sbagliato, oppure che il vero pensiero non riesce a venire a galla.
Ecco, quindi, un’altra direzione in cui il nostro dongiovanni potrebbe muoversi per comprendere il perché di questa sua continua avventura insaziabile.
Come vedete, in questo modo, anche se apparentemente il riconoscimento dell’Io sembra essere più complicato, più difficile, in realtà, vi sono già delle possibilità in più di comprendere le proprie azioni, i propri perché. E quindi, essendovi più possibilità, più elementi, è più facile arrivare ad una conclusione che – forse, magari, auguriamocelo! – anche per il nostro dongiovanni (ipotetico, naturalmente) potrebbe essere quella giusta e, così, permettergli di cambiare tipo di esperienza e magari, chissà, trovare la persona con cui non essere insoddisfatto, provare il desiderio di fermarsi, di riversare il proprio affetto, di sentirsi appagato fisicamente, e con la quale poter scambiare ciò che sente, o pensa, o crede di sentire.
D – Scusami non ho capito il “perché” mentale di questa ipotetica situazione. Vuol dire che magari lui scarica nella sessualità la frustrazione di una carriera, ad esempio? Quello potrebbe esser un “perché” mentale?
Potrebbe essere. Potrebbe essere un pensiero che non riesce a venire a galla e che quindi indirizza il desiderio, indirizza il corpo fisico a cercare delle emozioni che lo distolgano da questo pensiero in modo da non doverlo affrontare, perché ha paura di doverlo affrontare.
D – Un deviare quindi l’obiettivo, insomma. Andare a colpire la sessualità mentre invece il problema è da un’altra parte?
Potrebbe essere tutt’altro.
Al limite – che so io – un desiderio mistico e la paura di perdersi nella Divinità potrebbe, per reazione, per contrapposto, far tendere l’individuo a cercare di essere il più materiale possibile, per esempio.
D – Potrebbe anche essere una forma di orgoglio, di narcisismo, di affetto?
Figli nostri, questo è un discorso generalizzato, chiaramente; però ogni persona, ogni situazione ha il suo perché. Io vi indicavo soltanto delle possibilità, dei modi, non delle soluzioni, perché altrimenti avrei dovuto dare una soluzione, un perché per ogni persona – non ipotetica – di cui avremmo dovuto parlare. Moti
D – A volte mi sembra di essere sicura, dico: “Sì, è questo”, però dopo, ad un certo punto mi dico: “E se questo, e quell’altro…” cioè mi sembrano tutte e due giuste le cose.
Vi è un solo modo, creature, per comprendere quando si ha compreso (anche se sembra uno scioglilingua): ovvero allorché si è raggiunta una conclusione e, successivamente, al ripresentarsi dell’esperienza, il comportamento sarà diverso.
Fino a quando, di fronte alla stessa esperienza più o meno simile di volta in volta, voi – o meglio: il vostro Io – reagirà più o meno alla stessa maniera, significa che le risposte che vi siete dati non erano quelle giuste.
Allorché soffrirete perché qualcuno vi dirà qualcosa di spiacevole e vi direte “Soffro perché il mio Io è stato colpito”, però questa risposta sarà un modo per non andare più profondi dentro di voi, in modo da non comprendere più profondamente quali sono i veri motivi per cui voi soffrite, alla volta successiva che la persona, – chiunque sia – vi dirà qualcosa contro, voi nuovamente soffrirete.
Insomma, ripeto: l’unico modo per comprendere quando si è raggiunta la comprensione di un proprio modo di essere, di un proprio perché interiore, è osservarsi allorché la situazione inevitabilmente (perché vi è sempre “la prova del nove” per delle esperienze) vi si ripresenterà e voi non soffrirete più, non reagirete più come reagivate solitamente.
D – Si può dire che questo è l’accettazione?
No. E’ la comprensione.
D – Sei più tranquillo. Te ne fai una ragione, ad un certo momento. Non hai più bisogno di...
No: hai, semplicemente, compreso! Avendo compreso, succede che il corpo akasico non ha più bisogno di fare la stessa esperienza. Giusto? Allora, non avendone più bisogno, che cosa farà? Non stimolerà più il corpo mentale, il quale stimola il corpo astrale, il quale stimola il corpo fisico per indirizzare verso certe esperienze.
Ecco così che l’esperienza, anche se arriverà, non avrà più la stessa connotazione emotiva, non farà più sorgere i pensieri e i turbamenti mentali che prima accompagnavano il vostro vivere l’esperienza.
L’esperienza quindi passerà inosservata o, quanto meno, sarà svuotata dei suoi contenuti che turbavano voi stessi prima.
D – Tempo fa io ho riflettuto su una determinata esperienza, ora ho riflettuto ancora, e dopo quell’esperienza mi sono trovato il mio modo di essere. Adesso ho pensato: “Dovrei provare ancora l’esperienza per vedere se mi sento ancora in quel determinato modo”. Questo vuol dire che non ho compreso?
Direi che la risposta da poterti dare è comunque semplice: non resta che aspettare se ti si presenta l’esperienza e come la vivrai! Non vi è altra possibilità per comprendere se tu davvero sei cambiata, per lo meno finché sei incarnata.
D – Nel momento che tu hai la consapevolezza, hai scavato dentro te stesso, hai capito quali sono i tuoi perché e pur di levarti da quella cristallizzazione, magari, invece di scegliere la strada del cambiamento, della salita, dici: “Ok, allora scendo” peggiorando magari la situazione. Ci può essere un falso cambiamento, in peggio in questo caso?
Questa è pratica comune di tutte le persone incarnate! Allorché cercano di sfuggire qualche cosa che invece devono vivere, si ritrovano con il problema che sfuggivano non soltanto che si ripresenta ma anche che ripresentandosi è aumentato in altri particolari!
D – Ma voi quando dite che uno si può illuminare anche in questo momento, che cosa intendente dire? Se per comprendere in modo totale tutte le nostre esperienze dobbiamo “fare” le nostre esperienze, come possiamo “illuminarci” in questo momento?
Semplicemente comprendendo.
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D – Sì, va bene, su questo sono più che d’accordo. Però, se per arrivare alla comprensione devo fare l’esperienza, come posso farle tutte in un momento? E’ impossibile!
Infatti.
D – Allora perché dite che ci si può illuminare in questo momento?
Ma tu sai quante esperienze hai fatto prima?
D – No.
Allora come fai a dire che è impossibile? Noi non abbiamo detto – come hanno detto altri – che ci si può illuminare nel corso della “prima vita”, ma certamente, dopo un certo numero di esistenze, l’illuminazione (se così la volete chiamare, per quanto sia un bruttissimo termine, secondo me) può arrivare in qualsiasi istante.
D – Allora, scusami, che cosa intendete per illuminazione?
La comprensione.
D – Di ogni esperienza fatta, però, non di quelle che devo ancora fare. Perché io intendo “illuminazione totale”, cioè già la fine. O sbaglio l’interpretazione?
Quella che voi chiamate “l’illuminazione” e che viene interpretata come la fine dell’evoluzione – cosa che assolutamente non è vera, tanto per incominciare – non è altro che il raggiungimento di un canale preferenziale che in qualche modo mette più in contatto con la divinità.
D – Cioè?
Con Dio. Quindi l’illuminazione non è la fine dell’evoluzione, non è l’immersione in Dio, ma è il raggiungimento di Dio attraverso qualche canale, un canale soltanto, magari il canale del misticismo. Attraverso particolari meccanismi esperiti nel corso di una vita, il mistico può arrivare a “toccare” figurativamente Dio; ecco allora questa illuminazione, per cui la sua coscienza sembra aprirsi alla totalità e arricchirsi dell’Assoluto.
Certamente, in confronto a come era, l’apertura, il riempimento è enorme; però non è ancora l’immersione, la fusione nel Tutto.
Ritorniamo soltanto per qualche attimo, prima di passare la torcia ad un altro fratello, a questo benedetto “Io” che – abbiamo scoperto insieme questa sera – in realtà è abbastanza mal compreso. Giusto? Ed anche inaspettatamente, dopo tutti questi anni di insegnamento!
Un appunto avrei da farvi, in generale: questo Io abbiamo detto che si può definire come la risultante dei vari corpi dell’individuo all’interno del piano fisico. Giusto? La risultante dei vari corpi dell’individuo… Che corpi?
D – Il corpo mentale, astrale e fisico
E poi?
D – Il corpo akasico.
E quanto meno il corpo akasico. Giusto? Ora, che cosa significa questo? Che questo Io ha anche dei lati positivi. Mentre, per esempio, è tradizione da parte vostra considerare questo Io una bestia nera e basta. Giusto?
D – Perché si dice “superamento dell’Io”, e allora si pensava che fosse da superare tutto!
Anche il positivo?
D – La parte negativa e basta, suppongo.
E quali rapporti ci sono, se ci sono – domando io, ancora una volta – tra Io e inconscio?
D – Sì, ci sono.
D – Ci sarà un punto di unione…
D – Se abbiamo detto che l’Io è la manifestazione di almeno i quattro corpi inferiori (fisico, astrale, mentale e akasico) dovrebbe essere – io penso – che si manifesta una cosa, che è alla nostra portata mentale e quindi conscia, però certamente c’è una grossa parte che è inconscia e quindi senz’altro c’è una relazione tra inconscio e io, perché una parte è cosciente e una parte non la conosciamo, invece. Emerge poco alla volta man mano che si vive.
Quindi l’Io – mi sembra giustamente di dedurre da quanto hai detto – ha un parte di inconscio?
D – Secondo me sì.
D – Senti, ma nella definizione di Io si parlava di interazione fra corpo fisico, astrale e mentale. Tu ci hai messo anche il corpo akasico. Questo mi ha fatto pensare perché io ho sempre considerato il corpo akasico, anche se riconducibile sempre ad una soggettività, ad un essere umano, a una persona incarnata, ma a una specie di calderone… in fusione. Non so…
Vuol dire che l’hai sempre considerato in modo sbagliato, perché – evidentemente – gran parte di quello che hai letto non l’hai capito. O forse hai saltato la parte che stava tra quella posizione che tu hai accettato perché ti soddisfaceva, e il “divenire” proprio questa posizione. Il corpo akasico si struttura a sua volta; nasce come se fosse un seme, poi diventa un germoglio, poi diventa una pianticella, poi diventa un albero, poi diventa un foresta; però ci sono tutti i passaggi, dal seme alla foresta. Non nasce foresta fin dall’inizio.
D – Però non viene abbandonato, cioè è quella cosa che rimane, che dà il senso di continuità dell’individuo. Forse è per questo che l’ho sempre considerato un qualcosa non più riconducibile a un essere umano, ma più ad una dimensione di fratellanza, di fusione. Capisci cosa voglio dire?
D – E’ come un registro. Io penso che, figurativamente, si possa dire che è come un registro nel quale, a mano a mano che si progredisce, appunto che si vive, vanno inscritte delle cose.
Ad un certo punto c’è scritta soltanto una pagina, quindi gli impulsi che ti manda derivano da quella poca conoscenza; poi, quando è scritto metà registro, manderà degli impulsi più “giusti”; e quando sarà scritto tutto manderà degli impulsi ancora più giusti. Io penso che sia così. Potrebbe essere, figurativamente, giusta questa cosa?
Potrebbe essere, sì. Scifo
Però, direi, che per comprendere, per quello che ci serve alla situazione attuale, ora come ora, per comprendere l’Io e l’inconscio, basta per il momento ragionare su quelli che sono i corpi inferiori dell’uomo, cioè quelli che principalmente provocano il suo modo di rapportarsi con l’esterno e quindi il suo Io come manifestazione; anche perché – essendo i corpi più prossimi al piano fisico dove egli (il corpo akasico, la scintilla, l’Assoluto, ndr) si manifesta – sono quelli più facilmente raggiungibili, comprensibili, e più direttamente influenti su questo comportamento.
Che poi ci siano altre influenze più sottili, questo è normale e rientra nella logica dell’intero universo. D’altra parte bisognerebbe anche considerare – che so io? l’influenza che ha la luna su di voi, o il sole, o le stelle. Sono influenze sottili eppure – checché ne pensiate – queste influenze esistono! Però se dovessimo andare a cercare anche questi elementi per darvi un quadro della Realtà, cari miei, state tranquilli che diventeremmo tutti matti!
D – Io penso che è proprio il corpo akasico che manda queste spinte tramite il mentale, all’astrale e al fisico, che sono probabilmente inquinate, e dopo poi ci servano delle esperienze a noi.
Io direi che il discorso dell’inquinamento forse vale più per quello che proviene dalla scintilla e che arriva al corpo akasico, in quanto gli impulsi provenienti dalla scintilla arrivano a un mezzo quale è il corpo akasico che non è ancora in grado, solitamente, di decodificare nel modo giusto questi impulsi. Può soltanto cercare di comprenderli, come d’altra parte cercate di fare voi dal vostro piano fisico; è un po’ il ripetersi del “così in alto, così in basso”, in realtà, non può fare altro che cercare di comprenderli secondo i propri elementi, e quindi inviare altri impulsi agli altri corpi in modo che reagiscano a quello che lui pensa di aver compreso provenga dalla scintilla.
D – E’ questo che è l’Io alla fine. Cioè viene spinto a fare le sue esperienze perché non ha ancora il corpo akasico ben strutturato. Che è l’Io che non… cioè gli mancano quelle esperienze per togliere questo Io. O sbaglio?
Io ho compreso quello che vuoi dire, anche se non è uscito in modo comprensibile, perché tu hai affermato che è l’Io che non ha gli elementi per comprendere… l’Io! E questo è abbastanza poco comprensibile. Penso comunque che il senso di quanto stavi dicendo può essere abbastanza accettabile.
D – Rifacendo l’esempio del computer, si potrebbe dire che l’operatore – cioè il corpo akasico – osservando il proprio Io attraverso lo schermo, modifica i propri programmi, cioè la conoscenza?
Diciamo di sì. Diciamo che il corpo akasico dell’individuo, cioè l’operatore, secondo quello che vede sullo schermo – che, supponiamo, sia il prodotto degli altri corpi inferiori e quindi il rapporto con la realtà, il rapportarsi con la realtà – cosa fa?
Non fa altro che agire sulla tastiera immettendo dei dati tali che lui ritiene giusti, o che pensa di poter provare per verificare la loro giustezza, in modo tale da modificare ciò che viene a schermo, e quindi modificare la risultante con il mondo esterno in cui si trova inserito.
D – Scusa, Scifo, ritornando all’Io che – hai detto prima – non è tutto negativo, la parte positiva quale sarebbe?
La parte positiva è ogni volta che soffrite con un’altra persona perché sta soffrendo, è il momento in cui vi viene chiesto aiuto e date aiuto è il momento in cui, invece di strappare un fiore per donarlo alla vostra donna, o al vostro uomo, semplicemente glielo mostrate, dite di annusarlo e vi fermate ad osservarlo insieme!
E’ il momento in cui guardate il cielo e vi chiedete come è possibile che la furia insensata di pochi uomini possa solcarlo di stelle cadenti che portano la morte, è il momento in cui vedete ribollire il mare con la sua furia e vi chiedete se questo mare è infuriato perché si sente abbandonato da tutte le migliaia di specie che prima lo popolavano, è il momento in cui date qualcosa ad un’altra persona e non vi aspettate niente in cambio, è il momento insomma in cui riescono ad arrivare a manifestarsi nel mondo fisico le comprensioni del vostro corpo akasico, in quanto dell’Io – ricordate – fanno parte anche queste.
D – Allora la parte negativa che cos’è: orgoglio, invidia, egoismo, arrivismo, materialismo?
E’ semplicemente “incomprensione”, che comprende tutte queste parole e, in realtà, se ci pensate bene, le giustifica tutte, una per una, facendo sì che nessuno, neanche il più abbietto, apparentemente, tra gli uomini, possa mai essere condannato per ciò che ha fatto, fa, farà. Scifo
Con l’identificativo [IF] sono contrassegnati i post/materiali relativi all’insegnamento filosofico contenuto nella collana Dall’Uno ai molti del CI.
La pubblicazione di questo materiale richiederà anni, in esso è contenuto il contributo più importante della quarantennale esperienza del Cerchio Ifior.
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La lettura di questo post, mi porta a fare un collegamento con lo HD e mi chiedo:” veniamo al mondo con una determinata struttura, utile a fare certe esperienze, piuttosto che altre. Chi ha i vari punti, cosiddetti bianchi, ad es. sa che su quel fronte dovrà lavorare, mentre su quelli pieni, almeno in questa vita, sarà meno interpellato. Per quanto ci possa essere un’evoluzione nell’arco di una stessa esistenza, quell’ambito dobbiamo approfondire, è la nostra meccanica. Quindi per quanto possiamo raggiungere delle comprensioni, su determinati fronti dovremo comunque misurarci fintanto che quell’esistenza non abbia concluso il suo ciclo. Mi sbaglio? ( Non so se sono stata sufficientemente chiara )
Molto utile, grazie.
Ho delle comprensioni che non ho ancora raggiunto, lo vedo dalla reazione che continuo ad avere quando le scene si presentano. L’io è ancora riluttante e cedere. Spero che queste comprensioni arriveranno.Il post contiene più argomenti e necessita di una rilettura più attenta.
Come tutti i post va riletto più volte….e magari bastasse!
Ciò che sorge principalmente è il concetto di Io che il più delle volte non è sempre ben interpretato: generalmente è percepito sempre in forma negativa quasi da demonizzare e nel lavoro per la sua trasformazione si investono spesso troppe energie mentali, paranoie che a volte appesantiscono la ricerca. Forse andrebbe posta maggiore attenzione alla parte positiva attraverso la quale il sentire si manifesta.
La vigilanza continua sui comportamenti e la capacità di attesa va particolarmente coltivata.
Per ciò che riguarda la comprensione dell’Io i suggerimenti teorici che indicano l’analisi dei fattori che lo rendono manifesto è certamente facilitante. Ciò nonostante è per me estremamente difficoltosa questa analisi e la conseguente comprensione dei significati. Inoltre questa difficoltà è accentuata dalla presenza della parte non conscia dell’Io…..un guazzabuglio.