Ma tu, tu che affermi di appartenere a qualcosa, tu che implichi con questo appartenere a qualcosa il fatto di possedere quella qualità interiore che viene, solitamente, denominata fede.
Tu, amico caro, sì proprio tu che ti nascondi dietro il dito per non essere chiamato in causa, forte probabilmente della fede che tendi a dimostrare agli altri, tu, in prima persona, dimmi caro: hai fede? Scifo
Ehm… dunque, veramente io… mmm…. ho…. ehm… scusami cosa intendi per fede? Zifed
E ancora una volta, mio caro, il dito dietro a cui ti nascondi diventa qualcosa a cui aggrapparti per evitare ciò che ti si para innanzi in continuazione, quasi ossessivamente, cercando di farsi accettare una volta per tutte da te, e cerchi – nella solita maniera un po’ confusa – di svicolare dalle tue responsabilità.
Uno dei modi più semplici per fare questo, allorché viene posta una domanda imbarazzante è, semplicemente e facilmente, quello di rigirare la domanda a chi l’ha fatta. Ecco così che la mia domanda “hai fede?” viene subito e prontamente girata in: “cosa intendi per fede?”.
E già! Già, “perché le parole servono per comunicare, sì d’accordo, però dipende sempre dalla soggettività di chi le usa, non è detto che il fatto che io usi la parola “fede” possa significare che intenda la stessa cosa che intendi tu per fede – tu potresti dire – ed allora, a questo punto, cerchiamo di chiarire cosa intendiamo dire, perché altrimenti se non chiariamo questo come possiamo comunicare?”.
Bravissimo, bene, giusto, sei pronto e bravo, dialetticamente, quando ti fa comodo, amico, caro! Però, dopo anni di letture ponderose, dopo ore e ore di insegnamento, dopo minuti di discorsi con gli altri che ti accompagnano lungo un cammino di ricerca, è lecito aspettarsi e sperare che – per lo meno – la terminologia di base sia qualcosa di comune, altrimenti vorrebbe proprio dire che nulla di quanto è stato detto sia servito a qualcosa.
Evitiamo quindi questi giochetti e cerca, amico caro di rispondere a quanto ti ho chiesto. Ma tu hai fede? Scifo
Dunque, bisogna pensarci un po’, io ho fede? Ahh, devo rispondere – è vero – scusa. Dunque io ho fede? Ho fede, sì, sì… dovrei aver fede, però sai… dire che io ho fede potrebbe anche far pensare alle persone che io posso essere con il “paraocchi”, che posso essere tipo i testimoni di Geova… non vorrei… sai, quando tu sei davanti alla gente e dici: “io ho fede” cominciano a pensarti come i testimoni di Geova, inquadrati, che ti mettono lì davanti il libro, “questa è la Bibbia, è così e cosà perché lì c’è scritto così e cosà”, e poi, se fai quell’impressione… Zifed
Calma, calma!
Chissà perché affermare di avere fede provoca sempre dei problemi… non so se ci avete mai pensato, amici miei, ma difficilmente, quando parlate con gli altri, affermate di avere fede in qualche cosa. Naturalmente non parlo, che so io, della fede che riponete nella vostra squadra del cuore, ma dell’avere fede in qualche cosa che compete un campo più vasto, più profondo, più filosofico, più interiore e via e via e via.
Eh sì, il dire di avere fede, e forse anche il fatto di averla, spaventa: spaventa la persona che si trova di fronte alla necessità di affermare quello che veramente crede.
Certo non si può fare – come diciamo sempre – di ogni erba un fascio, altrimenti ci dovremmo dimenticare di coloro che, in nome della fede, si sono trovati in pasto ai leoni, ma – evidentemente – non tutti sono pronti a farsi martirizzare per ciò in cui credono.
Ma cos’è che spaventa in questa ammissione di fede? Scifo
Ciò che spaventa, figli, non è la paura del giudizio degli altri, e questo è ovvio esaminando questo aspetto anche soltanto dal punto di vista razionale; infatti, coloro che osservano la persona che dimostra di possedere una vera fede, naturalmente, non possono altro che esprimere un giudizio positivo – se vogliono essere obiettivi – in quanto credere in qualche cosa porta sempre dei benefici all’individuo e dimostra che, quanto meno, è riuscito a porre a se stesso e in se stesso delle basi solide su cui cercare di costruire un qualcosa che potrà portare, un domani, a delle evoluzioni.
Costruire partendo però da un punto fisso che si ritiene giusto ed in cui si crede, sul quale poi cercare il confronto e, al limite, lo scontro con altri punti visti dagli altri, al fine di comprendere quanto la cosa creduta sia viva, e giusta, e utile nella realtà non soltanto di tutti i giorni ma, principalmente, in quella realtà interiore che sta alla base del comportamento, del modo di essere, del divenire delle individualità stesse.
Ma allora, figli, se non è l’Io che reagisce alla paura del giudizio negativo da parte degli altri, qual è il punto? È forse qualcosa di più profondo, qualcosa di più celato all’interno di ogni individuo che, in qualche modo, si oppone a questo concetto, a questo mettere in mostra se stesso apertamente, chiaramente, di fronte agli altri?
Cosa vuol dire fede? Fede significa, e lo potete comprendere anche soltanto pensando all’etimologia della parola, significa principalmente fiducia. Quindi, aver fede equivale, figli, all’aver fiducia.
Fiducia in che modo, in chi, in che cosa?
Aver fiducia in qualche cosa che si crede giusto, aver fiducia in un’idea che si sente propria, che si sente giusta nella propria interiorità, aver fiducia nei confronti di persone, o di insegnamenti o di insegnanti che si ritengono nel vero, o quanto meno nel vero in quella parte di verità che a loro è possibile accedere.
Sembra, tutto questo, non essere qualcosa di così difficile da accettare, però pensiamo un attimo assieme, figli nostri: aver fiducia implica abbandonarsi, abbandonarsi a ciò che gli altri, al limite, possono prospettare; l’aver fiducia è il comportamento che può tenere un bambino molto piccolo che si lascia gettare in aria dal padre o dalla madre per gioco, sicuro che non lo lasceranno mai cadere per terra; aver fiducia significa saper mettere tutto se stessi in balia di altri, convinti che questi altri non potranno mai fare qualche cosa che veramente possa nuocere, perché, sempre e comunque, la loro intenzione sarà mossa verso il bene della persona che ad essa si affida.
Questo, figli, è l’aver fede: non è il proclamare l’appartenenza ad una corrente di pensiero o ad una scuola esoterica, teosofica, spiritica o ad un insegnamento qualunque, bensì l’essere pronti, veramente, ad essere a disposizione e ad abbandonarsi a ciò che si sente e si ritiene giusto.
Se questo non si riesce a fare, figli, è perché, in realtà, questa fede non la si possiede interiormente: si crede soltanto di possederla, si finge soltanto di possederla – perché magari agli occhi di se stessi e agli occhi degli altri, appartenere a qualche cosa è in un certo senso apparire migliori di quelli che si è.
Ma la vera fede, quella che veramente l’uomo che crede possiede,
è la fede che fa smuovere le montagne,
è la fede che fa dire: “sia fatta la tua volontà e non la mia, perché sono certo che la tua volontà è più nel vero di quanto la mia possa essere”,
è quella che sa far affrontare il sacrificio con gioia, sapendo che il sacrificio non sarà gettato via come una bambola rotta;
è quella che fa accettare la presenza di altre persone che, magari, possono non essere in sintonia con se stessi, ma che proprio per questo germe di fede in comune possono costruire insieme un utile per se stessi e per gli altri,
è quella fede che fa trovare la pace interiore che così spesso vi dimenticate di avere, soffermandovi a contrastare gli altri invece di cercare di costruire assieme a loro.
Che la fede, figli, sia veramente con tutti voi. Moti
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La parola più congeniale è fiducia, almeno per me. Fede purtroppo richiama a tante possibili interpretazioni. Proprio stamattina riflettevo sull’importanza dell’uso delle parole. Penso che anche questo sia un ambito dove è importante una sana ecologia.
A Natascia
E così la tua mente gira la frittata come vuole..
Il termine fede esiste, ed ha molti significati e non sempre, a mio parere, è sostituibile con fiducia.
Ora, il problema per molti di noi, è quello di riuscire a liberarci dai condizionamenti.
Altrimenti il termine fede non posso usarlo perchè mi rimanda a troppe cose; il termine monaco mi fa drizzare il pelo..
Rimaniamo nei nostri condizionamenti, riduciamo il nostro vocabolario e lo pieghiamo ai bisogni delle identità senza rimuovere gli scheletri nell’armadio che esse hanno.
Barlumi di fiducia (nel senso di ‘sia fatta la tua volontà, non la mia’). Questi sono ciò che posso dire di avere in questo momento. In altri potrei dire di non averne affatto, a volte magari anche di averne in abbondanza.
Un po’ di fiducia alla fine ci sarà in questo balletto senza fine.
Per il resto fatico a seguire il filo logico del post e alla fine non mi rimane nulla se non quello che già sapevo, cioè quello che ho scritto tra parentesi all inizio del commento.
Mi chiedo poi: Scifo e Zifed che cosa fanno? Una sorta di scenetta didattica? Voglio dire: Zifed non credo che esprima un suo pensiero, ma piuttosto faccia il verso a noi. Giusto?
A Marco
Certo, Marco, è una pantomima a nostro uso e consumo..
È vero, dobbiamo liberarci dai condizionamenti e qui di strada ce n’è. Il problema però non è solo a cosa suscita in me un vocabolo piuttosto che un altro. Mi accorgo che se devo comunicare ad altri determinati concetti cerco termini, più possibili neutri, se così posso dire, perché ho timore dei fraintendimenti e delle interpretazioni. Questa difficoltà in parte, ma certo anche la cultura e l’educazione acquisita, hanno creato un pre-giudizio, da cui non è facile smarcarsi.
Quando si comunica con un altro è giusto utilizzare termini che pensiamo che l’altro possa più facilmente capire e accettare.
Qui tra noi, viceversa, sappiamo bene (si spera) che significato ha quel termine e almeno tra noi dovremmo poter usare liberamente i termini più corretti senza temere fraintendimenti.
Vorrei essere certa di avere quella fede di cui parla Scifo nella parte scritta in corsivo.
Vado fuori tema, ma ciò che maggiormente ha colpito è questo passaggio: “… Dopo anni di… è lecito aspettarsi e sperare che – per lo meno – la terminologia di base sia qualcosa di comune, altrimenti vorrebbe proprio dire che nulla di quanto è stato detto sia servito a qualcosa….”
Per il resto, l’uso del termine fede, non mi fa drizzare il pelo, anzi sta ad indicare qualcosa di piú vasto e profondo rispetto alla fiducia.
Sempre più in questo cammino sento di essere accompagnata dalla fiducia che permette di accogliere anche cio che non piace all’identità, anche ciò che provoca dolore, perché sostenuta da una certezza che è più forte dell’identità e della sofferenza.
È come un punto fermo, inamovibile, in cui restare ancorati, dal quale scaturisce la forza per affrontare le situazioni anche quando senti essere pervaso da una fragilità estrema che attraversa i corpi, una sorta di fondamenta che anche l’uragano peggiore dopo aver spazzato ciò che è visibile non distrugge, e che fornisce la capacità e l’energia di ricostruire e camminare avanti.
Se penso alla mia vita, alle scelte che ho fatto, ai momenti difficili che ho superato, riconosco di essere stata sorretta sia dalla fiducia che dalla fede. Grazie ai post sulla fede pubblicati in questi giorni, ho potuto prenderne coscienza. Mi sentivo carente e invece semplicemente non sapevo collocarmi poiché guardavo al significato più alto di entrambe. Certamente, sia la fiducia che la fede possono essere alimentate e quindi crescere ulteriormente dentro di noi. Per questo è importante saperne individuare la presenza in noi, e valutarne il grado. Quanta fiducia ho che quello che accade è per me? Quanta fede ho di Essere al di là del tempo e dello spazio, oltre la forma che mi riveste?