Prima di affrontare alcuni aspetti etici veri e propri della cristallizzazione, è bene metter l’accento su un concetto a cui è stato accennato nella parte filosofica: I’Io.
Se la cristallizzazione rappresenta un problema per l’individuo, in quanto può essere causa di sofferenza, allora non può essere un problema per il nostro corpo akasico.
II corpo akasico, infatti non ha il problema di soffrire, ma quello di evolvere.
La sofferenza è un problema per l’individuo incarnato, ma non perché l’incarnazione in sé debba per forza essere causa di sofferenza, bensì perché l’incarnazione produce, a livello umano, quell’illusione di sé, quel senso di separatività che conosciamo col nome di Io.
L’Io, pur essendo una proiezione che in sé non esiste, ci dà la percezione di essere fatti in un certo modo, ci dà la sensazione di essere liberi di agire secondo i desideri e le pulsioni del momento, ci fa sentire staccati dagli altri e dall’ambiente, ci fa considerare come realtà ciò che riusciamo a percepire e a razionalizzare.
E’ perciò lo strumento attraverso il quale ci orientiamo consapevolmente sul piano fisico. Tutto quello che dalla nostra interiorità emerge e arriva alla nostra consapevolezza fisica, viene vagliato e filtrato dal nostro Io.
E’ a causa dell’identificarci col nostro Io che perdiamo di vista i segnali dei nostri reali bisogni evolutivi emergenti dalla nostra interiorità, arrivando a compiere quelle scelte che, non essendo in sintonia con essi, a lungo termine ci porteranno a cristallizzare. Perciò è sul nostro Io che dobbiamo agire, per prevenire e risolvere le nostre cristallizzazioni e, quindi, limitare la nostra sofferenza.
Prima di tutto, dobbiamo modificare l’atteggiamento di fondo che abbiamo nei confronti del nostro Io, cioè l’identificazione in esso, prendendo atto (almeno razionalmente) che si tratta di una illusione, così come dobbiamo considerare illusione la sua capacità di modificare o fermare il corso degli eventi a suo piacimento.
E quanto più ci renderemo consapevoli o, meglio, coscienti dell’illusorietà dell’Io, tanto più le scelte basate su esso saranno meno allettanti e progressivamente sposteremo le intenzioni che muovono il nostro agire su un piano via via più elevato e più in linea con la nostra stessa coscienza.
Un modo per aiutarsi in questo cammino può essere il prendere in considerazione quegli atteggiamenti, quei modi di essere, quei modi di sentirsi e di pensare, che potrebbero essere la spia di un processo di cristallizzazione che si sta strutturando dentro di noi:
– l’abitudine, con schemi di comportamento e di pensiero ripetitivi.
– La tepidezza.
– La fuga dalla realtà del tempo presente, con proiezioni nel futuro o nel passato fini a se stesse.
– I moti più comuni dell’Io che da lungo tempo generano in noi e attorno a noi i medesimi problemi.
Di norma, le situazioni di cristallizzazione che sono già in atto da lungo tempo finiscono con l’innescare in noi e attorno a noi quei processi, quelle reazioni che spesso, tramite la sofferenza, tendono a rompere le cristallizzazioni formatesi.
In realtà, qualunque sofferenza abbiamo patito, stiamo patendo o patiremo in futuro, non è che l’ultimo mezzo della vita per smuoverci da una situazione altrimenti spiritualmente cristallizzata.
Non credo sia necessario soffermarsi a fare esempi di sofferenza, dato che qui sul piano fisico nessuno ne é immune. Più interessante è invece far notare come l’Io stesso – che abbiamo detto essere stato la causa della nascita della situazione cristallizzata – contiene in sé anche i meccanismi che portano a superare la cristallizzazione stessa, a tutti i livelli.
Esempi di ciò possono essere: la noia, l’insoddisfazione, l’irrequietezza, i dubbi, la confusione, l’incertezza, eccetera eccetera: tutti moti interiori che nascono a livello del nostro Io in seguito a situazioni che necessitano di essere smosse e rivoluzionate al fine di darci nuovi stimoli di crescita.
E’ la noia che ci impedisce di fare sempre le stesse cose e ci induce a cercare fonti di nuovi stimoli, è il dubbio che ci permette di superare le nostre attuali certezze al fine di costruirne di nuove e migliori, ed è la confusione che ci permette di mettere tutto quanto in discussione e in dubbio, portandoci così a vagliare, sulla base delle nostre nuove comprensioni ed esperienze, le nostre vecchie e cristallizzate convinzioni.
Ed ecco, così, che da dentro e da fuori di noi giungono quelle situazioni dolorose o quantomeno fastidiose, necessarie per portarci avanti di un passo nel nostro cammino.
Ma, una volta preso atto della nostra condizione interiore, dobbiamo cercare le possibili motivazioni che ci portano ad essere in quel modo, e dobbiamo valutare cosa possiamo realmente fare per dare un indirizzo diverso al nostro Io.
Abbiamo detto poco fa che la sofferenza è l’ultima carta che viene giocata dalla vita per rompere le nostre cristallizzazioni; ma questo significa che noi, se volessimo, potremmo fare qualcosa per rendere – diciamo – meno necessario l’intervento di questa sofferenza nella nostra vita.
1- All’atto pratico pensiamo che diventi importante il solito “conosci te stesso”, su cui inevitabilmente si va a parare quando si fanno questi discorsi.
Non si tratta di cambiare il proprio atteggiamento, quanto di essere consapevoli di esso, e ancora di più di conoscere per quanto possibile sempre in maggiore profondità quelle che sono le sue cause. Quindi conoscere in dettaglio le nostre intenzioni e le motivazioni delle nostre reazioni in tutti quegli ambiti in cui notiamo quegli atteggiamenti che possono fare da segnale per una cristallizzazione in atto (tepidezza, abitudine, e così via) o sono spia di una reazione alla cristallizzazione ormai creata, che sono tutte quelle circostanze che ci creano dei problemi più o meno gravi e dolorosi da vivere.
2- Dopo di che, valutare se siamo in grado di modificare noi stessi per entrare in sintonia con la richiesta akasica senza creare attriti, oppure se per avvicinarci a questo obbiettivo dobbiamo incidere in modo forte sull’ambiente stesso, andando magari contro i nostri desideri e i nostri apparenti interessi, soffrendo o anche facendo soffrire altri.
Perché, se sono importanti l’introspezione e il conoscere se stessi, qui sul piano fisico è anche importante agire e mettere in pratica le proprie spinte, desideri e convinzioni, e un’azione anche energica – anche sbagliata, secondo la nostra limitata concezione di “giusto e sbagliato” – può diventare l’unica via di uscita per rompere una cristallizzazione, prima che siano gli eventi della vita a farlo per noi tramite la sofferenza.
E’ auspicabile che ciascuno di noi non rimanga mai fermo sotto nessun punto di vista; ma, per arrivare a ciò, è necessario uscire dalla tepida comodità delle abitudini.
Per arrivare ad un dinamismo totale interiore ed esteriore occorre agire, ma agire non solo su criteri di vantaggio personale, ma anche su criteri di vantaggio e miglioramento delle condizioni dell’ambiente che ci compete (famiglia, lavoro, società, associazioni, ecc.), affiancando a tutto questo un costante lavoro di introspezione e analisi delle nostre intenzioni e reazioni che ci permetta di mettere davvero a frutto dentro noi stessi tutti gli innumerevoli stimoli che una vita così dinamica ci fornirebbe.
Probabilmente, anche chi riuscisse davvero a fare questo fino in fondo, ancora non sfuggirebbe del tutto alla sofferenza, ma quantomeno crediamo che la renderebbe massimamente utile alla propria crescita spirituale, all’ampliamento della propria coscienza, che sappiamo con certezza un giorno ci porterà a non avere più bisogno di soffrire. (Fine del ciclo sulla cristallizzazione)
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Di grande conforto queste parole che esortano ad agire ad osare.
Ho da molto tempo questa consapevolezza, una dinamica che smuove le acque e quando mi vedo tiepido, e molto spesso lo sono, c’è disagio e non sto comodo dentro.
Tanta roba! La tiepidezza fa un po’ parte di me e si estrinseca nel cercare di evitare situazioni conflittuali. La vedo e la accolgo, consapevole che a volte erompere è necessario e salvifico. Ma ancora quando accade c’è tanto sconvolgimento emotivo e poca padronanza. Grazie per aver stimolato questa riflessione….
Di grande sprone.
Nel corsivo iniziale, le considerazioni sull’io che “ci dà” questo e “ci dà” quello, mi rinnovano la domanda: “Ci dà a chi?” A noi, che al singolare diventa “io”, quindi l’io che dà all’io; è tautologico, non può essere. Trapela che quel “ci dà” si riferisce a noi intesi come insieme di coscienze e non come insieme di io. Quindi l’io è l’estrinsecazione della nostra coscienza, è la coscienza in manifestazione, così come incarnata ed impastata con i nostri corpi transitori. Più ampio sarà il sentire e meno forza gravitazionale avrà l’io, ovvero meno attrazione eserciteranno sulla coscienza le spinte dei corpi transitori. Più ampio sarà il sentire e meno la coscienza caschera’ nella trappola di vedere la realtà partendo dall’io e più percepirà l’altro come non-altro. E viceversa. C’è poco da fare, poco da lottare contro questo io, nostro alleato. Semmai c’è da assecondare, da agire, nei termini in cui l’akasico richiede. Nel mentre, osservare, comprendere, evolvere. In questo modo basso mi appare il rischio che l’io si frapponga sia come ostacolo sia come cristallizzazione. Più c’è frapposizione, più c’è cristallizzazione e più evidentemente deve esserci perché è la coscienza colei che si impantana e si blocca.
Quando mai un corpo fisico, emotivo e mentale si dichiareranno pronti a salire su una croce se quello fosse necessario? Quando il segnale dalla coscienza è talmente chiaro e vasto da travalicare le fisiologiche loro resistenze. La coscienza, affatto identificata o ridotta sul piano dell’io, raccoglie su baracca e burattini e induce ad agire per come le serve, in base alle proprie comprensioni.
In fede, ciò che mi pare.