Per concludere questo discorso (per forza di cose approssimativo e certamente non esauriente in tutte le sue particolarità), volevo accennare a due elementi importanti che sono strettamente collegati alla memoria: il senso del tempo e la sensazione di esistere.
Il senso del tempo scaturisce dall’osservazione in successione degli avvenimenti compiuta dai corpi inferiori nel corso della vita.
Ovvero: il corpo fisico stabilisce il tempo in base alla successione delle sensazioni che egli percepisce, in base alla sequenzialità delle emozioni che lo coinvolgono, in base ai ragionamenti che esse provocano nel corpo mentale.
Senza la memoria e il ricordo questa successione non sarebbe percepibile: tutto apparirebbe contemporaneo.
Il tempo (sensazione, estremamente soggettiva, al di là delle convenzioni attuate dall’essere umano allorché è incarnato con la fittizia divisione in unità di tempo quali l’ora, i minuti o i secondi) esiste nella soggettività proprio grazie alla percezione soggettiva dell’Io che tiene se stesso come punto fermo della sua realtà, al quale tutto fa riferimento.
Se esiste, ovviamente, deve avere una sua funzione, vero fratelli? Certamente ne ha più di una e quella che mi preme sottolinearvi in questo ambito è quella di dare un ordine di invio al corpo akasico dei dati dell’esperienza in forma via via più ampia, partendo dal semplice dato per arrivare all’articolazione più complessa che comprende ancora il dato semplice ma lo completa con dati aggiuntivi che possono fornire all’akasico una visione più completa dell’esperienza.
La successione delle comprensioni segue, passo passo, la successione delle esperienze fatte nella realtà soggettiva, ed è ancora funzionante e percepita come una serie di raggiungimenti temporalmente successivi da parte del corpo akasico nel costruire il mosaico della sua comprensione: non può accadere, ad esempio che un individuo capisca una sfumatura di comprensione prima di aver capito la base della comprensione stessa.
La memoria e il senso del tempo portano alla sensazione di essere un’entità che attraversa la realtà in un lungo peregrinare attraverso la vita, alla sensazione di essere «io» che mi riconosco nel tempo e che attraverso il tempo secondo un filo conduttore a cui sono sempre collegato e nel quale mi identifico.
Questo dà all’Io e alla consapevolezza individuale dell’uomo incarnato, la sensazione di esistere. Ma è una sensazione fallace e transitoria perché basta uno squilibrio che provochi una forte perturbazione a livello fisico, astrale o mentale, per attraversare momenti in cui non si riconosce più se stessi e si ha la sensazione di non essere più la stessa persona.
La sensazione di esistere, l’illusione di esistere pur nell’apparente realtà e concretezza del mondo fisico, diventa alla fine coscienza di esistere allorché essa si confronta con il complesso dell’individualità all’interno del corpo akasico, laddove il contatto con la coscienza superiore dell’Assoluto rende inamovibile la certezza che ognuno di noi, malgrado la propria effimera esistenza, «è» ben al di là di quella che può essere l’illusoria esistenza individuale di un Tizio, di un Caio o di un Sempronio.
E in questa coscienza di esistere si annulla il tempo, perde importanza il ricordo e acquista preminenza il concetto che prima di tutto si «è», in maniera totale e definitiva.
Nel corso di una delle mie vite mi sono interessato di magia e di esoterismo e, nel percorrere la mia strada lungo la ricerca della conoscenza mi sono imbattuto in un’antica pergamena della quale non si sapeva la provenienza.
Essa diceva, in una scrittura rapportabile a quella usata dai sacerdoti egizi:
Padre mio, ho cavalcato mille cavalli imbizzarriti
e da essi ho trovato in me le parole e i suoni che li rendevano docili
e capaci di seguire i miei desideri,
conducendomi lungo le strade paurose della mia interiorità.
Ho incontrato sul mio cammino orde di lupi ringhianti
dai denti snudati come barriere poste sulla mia strada per fermare
il mio avanzare verso di Te
ma ho saputo tranquillizzarli con la luce di un mio sorriso,
con la forza della mia serenità.
Mi sono imbattuto in tempeste che facevano rivoltare i mari,
portando in alto quello che era in basso
e ricacciando negli abissi più profondi quello che era in superficie,
e sono rimasto a galla sopra il pelo delle acque turbolente
solo grazie alla mia convinzione
che io, qualunque cosa potesse accadere, non sarei mai morto veramente.
Ho sfidato il fuoco più ardente, il lampo più abbagliante,
la grandine più tambureggiante
riparandomi sotto la volontà di giungere indenne nel porto della mia anima.
Ho attraversato momenti in cui il mio corpo mi è sembrato
un peso inutile ed ingombrante di cui avrei voluto poter fare a meno.
Ho percorso ore interminabili in cui orgoglio, paure e rancori
cercavano di ridurmi come un fuscello in balia del vento,
pronto a spezzarsi frammento dopo frammento.
Ho vissuto periodi in cui i miei pensieri
sembravano essere pensati soltanto allo scopo di ferire me stesso
o, peggio ancora, di ferire gli altri.
Eppure, sempre, qualcosa dentro di me
è riuscito a modificare ciò che attraversavo
aggrappandosi con tutta la sua speranza
al piacevole soffio di un vento primaverile,
o alla risata senza imbarazzo di un bambino,
o all’incontro con una nuova, inaspettata, meravigliosa idea.
Infine, Padre mio, ti ho scorto…
e tutto ciò che ho vissuto mi è apparso nella sua grandezza,
facendomi riconoscere che di tutto ciò, indubbiamente, avevo bisogno. Andrea
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Ogni volta che l’ho letta questa citazione di Andrea mi ha sempre rinnovato l’indicazione della strada da compiere ma non sapevo che fosse rinvenuta da un testo degli antichi egizi..
Grazie.
“laddove il contatto con la coscienza superiore dell’Assoluto rende inamovibile la certezza che ognuno di noi, malgrado la propria effimera esistenza, «è» ben al di là di quella che può essere l’illusoria esistenza individuale ”
Per me questo solo in parte è vero, anzi mi sembra il contrario.
Più c’è consapevolezza di quella certezza che ognuno di noi è, al di là della illusoria esistenza individuale, e più quella certezza abbraccia un respiro talmente vasto che sparisce fino a perdere ogni significato in quell’Uno.
Quante volte i nostri comportamenti, azioni, scelte rispondono al bisogno della sensazione di esistere, meccanismo sempre più chiaro che ora viene riconosciuto con sempre più facilità.
Vado fuori tema ma mi colpisce il fatto che una Guida, ovvero una coscienza di una certa evoluzione, conserva precisi i ricordi delle vite incarnate. Se ne ricava che la memoria trascende il corpo mentale e si inscrive nel corpo della coscienza, sicché nell’aldilà avremo memoria degli accadimenti di tutte le nostre vite?
Samu, questo viene spiegato nei post precedenti..
Stampato