Da quanto vi ho esposto sino a questo punto si potrebbero dedurre abbastanza facilmente quali sono le varie funzioni del corpo mentale, tuttavia forse val la pena di fare su di esse un discorso un poco più strutturato, in modo da fornirvi un quadro complessivo e organico e facilitare così una visione più unitaria e logica di quanto ho detto frammentariamente.
Abbiamo osservato in precedenza cos’è il cervello in realtà e come, pur essendo un organo straordinariamente complesso e utile per l’individuo, non debba alla fin fine essere considerato che una sorta di centralina di smistamento dei vari segnali vibratori che provengono dagli altri corpi e, in particolare, dal corpo mentale.
Già perché – e forse dalle mie parole non risultava abbastanza chiaro – al cervello pervengono anche le vibrazioni provenienti dal corpo astrale ed esso, adoperandole in concomitanza con quelle che gli vengono dal corpo mentale, provvede a modularle e articolarle in maniera da riuscire a farle affiorare nel modo in cui l’individuo affronta le esperienze che gli si presentano nel corso della vita.
Risulta evidente, da quest’analisi, che il cervello diventa una sorta di interfaccia tra ciò che è interiore nell’individuo e ciò che di sé appare all’esterno dell’individuo stesso. Possiamo perciò vederlo come un traduttore di stimoli interni in reazioni esterne e, in ultima analisi, come lo strumento che permette alle vibrazioni degli altri corpi di arrivare a manifestarsi sul piano fisico nella vita di relazione con gli altri, dando una forma rappresentabile a se stesso e agli altri di quello che abbiamo definito col termine «Io».
«Io» che è certamente illusorio, perché nessuna delle persone incarnate è veramente ciò che dall’Io viene manifestato ma che, comunque, offre la rappresentazione di come ciò che serve al corpo akasico per raggiungere elementi di comprensione, influenza il modo di agire dell’individuo e interpreta nell’esperienza pratica quotidiana i bisogni della coscienza.
In rapporto al cervello, dunque, la funzione del corpo mentale è quella di fornirgli la decodificazione di ciò che riceve dall’akasico in una forma tale che esso possa a sua volta renderla adatta a interagire con ciò che l’individuo sta attraversando sul piano fisico.
Se è vero che l’individuo può raggiungere delle comprensioni anche se è solo, in cima alla più alta delle montagne, è anche vero che ha maggiore possibilità di comprendere nei momenti in cui, invece, si trova a contatto con le altre persone, con le quali può condividere le esperienze che fa, confrontando le proprie reazioni, i propri ragionamenti, le proprie deduzioni con quelli altrui.
Nel primo caso la comprensione raggiunta sarà meno complessa e avrà, comunque bisogno di una verifica in cui ciò che si ha compreso viene applicato nel rapporto con gli altri individui. Infatti uno degli aspetti fondamentali che caratterizza l’essere umano e la sua evoluzione, è dato dall’essere egli un uomo «sociale» e costituito in maniera tale che la vita di relazione gli è necessaria e indispensabile per comprendere tutte quelle sfumature, piccole ma importanti, che precisano e chiariscono la comprensione, rendendola completa.
E’ ovvio che per poter sfruttare al massimo la vita di relazione diventa estremamente necessario poter comunicare in qualche maniera con gli altri esseri umani, e poterlo fare in una maniera tale che la comunicazione non si limiti a risposte categoriche (sì-no) ma fornisca un quadro più completo agli interlocutori.
E’ necessario, cioè, avere una piattaforma comune sulla quale poter interagire e sulla quale inserire gli elementi personali dell’individuo in modo da poter creare una condivisione dei tratti in comune dell’esperienza, o di poter offrire una pluralità di possibilità l’uno all’altro per far sì che vi sia veramente uno scambio e non soltanto una constatazione del modo di essere dell’altro.
Questo è reso possibile dalla presenza del linguaggio. Senza dubbio una porzione di comunicazione avviene anche attraverso quel linguaggio corporeo che è fatto di gestualità, espressioni fisiche, mimica facciale, ma questo tipo di linguaggio non verbale può mettere in mostra quelli che sono i bisogni del momento dell’individuo, senza fornire però, a lui stesso o a chi lo osserva, alcun elemento aggiuntivo che serva a comprendere la complessa realtà interiore della persona. Andrea
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