Tra i doni che il Grande Architetto ha elargito a quella fase dell’evoluzione che è rappresentata dall’essere umano, ve n’è uno che può essere considerato lo strumento principale per il rapportarsi dell’uomo non soltanto con se stesso ma, specialmente, con ciò che gli è esterno.
Questo dono è la parola.
La parola fornisce all’uomo i mezzi per esprimere ciò che prova interiormente, per attuare i dettami della sua evoluzione o dei suoi bisogni di comprensione all’interno del piano fisico.
Certamente anche un muto può rapportarsi con la realtà a lui esterna e con quella interiore ma, certamente, rapportarsi agli altri attraverso il linguaggio dei gesti o, magari, la scrittura, non offre le stesse possibilità di evidenziare le sfumature del proprio essere che offre l’uso del linguaggio, né la stessa velocità di esternazione di se stessi.
Il linguaggio è strettamente correlato all’evoluzione dell’essere umano, come disse una volta il fratello Scifo: il linguaggio di una popolazione è andato differenziandosi da quello di un’altra non soltanto per ragioni «filologiche «, ma anche per consonanza di tipo di vibrazione ai bisogni evolutivi di una certa popolazione.
Se ci pensate un attimo con attenzione potrete facilmente rendervi conto da soli che le varie lingue sono associate a particolari caratteristiche generali delle popolazioni che le usano; basti pensare alla lingua italiana che con la sua complessità, la sua vivacità, il suo fluire un po’ fracassone identifica abbastanza precisamente quali sono le peculiarità caratteriali della popolazione italiana… fornendo, ovviamente, non un’immagine del singolo individuo, bensì quella della popolazione nel suo complesso.
«All’inizio era la Parola» viene detto negli antichi testi sacri.
Avete mai provato a pensare a questa frase rapportandola all’insegnamento che vi abbiamo proposto in questi anni?
Come la si può tradurre nell’ottica del nostro insegnamento filosofico?
E’ sufficiente pensare che la parola è un suono, quindi un’emissione di vibrazioni, per trovarsi la soluzione a portata di mano: gli antichi saggi (che avevano afferrato la Verità ma potevano soltanto offrirla in maniera che si svelasse solo a chi era pronto a recepirla) sapevano, evidentemente, quanto da noi detto, ovvero che la creazione della Realtà, la formazione dei Cosmi, il Grande Disegno, hanno avuto origine da una vibrazione Prima che ha indotto nelle materie che attraversava quel soffio – ancora una vibrazione, a ben vedere, e il Soffio è l’analogo orientale del termine Parola (o Verbo) usato dagli occidentali – che vivificava e differenziava la materia dando il via alla creazione della Realtà.
Non è mia intenzione addentrarmi in questioni filosofiche troppo profonde e complesse che possono magari soddisfare il palato di alcuni di voi ma che risultano certamente noiose e troppo rarefatte per la maggior parte degli altri possibili lettori di questi miei discorsi..
Voglio invece arrivare ai rapporti tra il cervello e il corpo mentale per quello che riguarda la parola.
E’ evidente che il cervello è strettamente legato alla parola: il semplice fatto che la medicina abbia accertato la presenza nel cervello di particolari aree che permettono lo sviluppo e la produzione del linguaggio da parte dell’individuo ne è una prova decisamente incontestabile.
Se il cervello non ha quelle aree integre all’individuo non è possibile parlare.
Ma è possibile che, anche in quelle condizioni menomate, egli possa pensare? Certamente sì: anche questo, dall’osservazione dei fatti della vita, risulta incontestabile.
Ma il pensiero del muto è fatto di parole?
Ancora una volta bisogna rispondere di sì, anche se la conseguenza logica di quanto stavamo dicendo potrebbe aver fatto supporre una risposta negativa a questa domanda.
Vediamo di arrivare a questo punto partendo da un’altra angolazione.
Il corpo mentale, abbiamo detto, è il vero «pensatore «, è colui che pensa, mentre il cervello è soltanto l’organo attraverso il quale i pensieri del corpo mentale si «fisicizzano» per espletarsi nella realtà fisica dell’individuo.
Tuttavia il corpo mentale non pensa necessariamente solo attraverso parole: usa simboli, concetti, condensazioni di dati, vibrazioni complesse propri della materia mentale che, comunque, non sarebbero riconoscibili come parole così come siete abituati ad ascoltarle voi.
Due entità consapevoli sul piano mentale possono comunicare tra di loro, ma la loro comunicazione può non avvenire attraverso le parole bensì attraverso l’uso di vibrazioni che hanno la stessa funzione della parola per l’uomo incarnato, ma che portano in sé una massa molto più complessa di dati e di elementi rispetto alla parola, cosicché la comunicazione risulta più completa e ricca di informazioni.
Com’è, allora, che viene a formarsi la parola quale risultato della trasmissione dei pensieri del corpo mentale verso il fisico?
Ciò avviene attraverso la decodifica delle vibrazioni del pensiero del corpo mentale attuata spontaneamente da certe zone del cervello che ricevono le vibrazioni mentali e, per approssimazione o similitudine, le associano a quegli schemi vibratori che, al suo interno, sono associati alle varie parole.
Se si considera che la creazione cerebrale delle parole del linguaggio dell’individuo è subordinata alle cose apprese nel corso dell’esistenza (dalle voci degli altri – i genitori in particolare – a ciò che l’individuo impara studiando, leggendo, comunicando e via dicendo) ci si può rendere facilmente conto che la traduzione del pensiero del corpo mentale in parola all’interno del cervello è, ovviamente, condizionata dagli schemi di linguaggio presenti nel cervello in questione, schemi che gli permetteranno di esprimere in maniera esatta solo una parte dei reali pensieri del corpo mentale.
Per farvi un esempio di ciò che potrebbe accadere, il corpo mentale di un pigmeo potrebbe meditare sulla fisica quantistica ma il pigmeo non potrebbe mai tradurre in comunicazione comprensibile agli altri pigmei intorno a lui questi pensieri perché non ha assimilato nel proprio cervello gli schemi vibratori necessari per esprimere concetti di quella portata e di quella complessità.
Ciò non significa (e qua torniamo all’impossibilità di giudicare gli altri) che il pigmeo in questione non abbia magari in sé, e anche compresi, quei concetti.
Né tanto meno, ovviamente, che tale impossibilità lo possa far classificare inferiore rispetto ad un fisico quantistico che, molto spesso, per fare un esempio, perde più facilmente contatto con la realtà e con ciò che è importante nella vita di quanto accade al più ignorante e incolto dei pigmei!
Ne consegue, a questo punto, la funzione e l’utilità della cosiddetta «cultura «: attraverso di essa vengono forniti al corpo mentale degli schemi e delle associazioni cerebrali più complesse e diversificate che gli offrono la possibilità di trasmettere all’esterno di se stesso, durante la comunicazione fisica, una maggiore quantità di sfumature e di concetti.
Come sempre esiste il rovescio della medaglia che, nel caso dell’uomo colto, è costituita dalla presunzione che può permeare chi possiede una certa cultura, o la possibilità, nella diversificazione estrema delle sfumature, di perdere di vista quelle che sono le linee logiche e più importanti del pensiero trasmesso dal corpo mentale (che, non dimentichiamolo, ha la funzione di avviare verso la comprensione) caricandolo di sovrastrutture spesso superflue che offrono spunti e occasioni all’Io per mascherare meglio ciò che non vuole conoscere, riconoscere o affrontare. Andrea
Letture per l’interiore: ogni giorno, una lettura spirituale breve del Cerchio Ifior e del Cerchio Firenze 77, su Whatsapp. Per iscriversi
Politica della privacy di questo sito da consultare prima di commentare, o di iscriversi ai feed
Chiarissimo
Grande riflessione sull’uso delle parole: la manifestazione di ognuno passa anche attraverso il grado di capacità espressiva. Le sfumature del linguaggio fanno la differenza nel rapporto con l’altro…….tema per me molto vivo.
Mi dispiace ma non riesco proprio a cavare un ragno da un buco da questo post. Non riesco a seguire il filo del discorso.
Verissimo. Un nostro alunno sordo pensava attraverso le vibrazioni e ascoltava musica allo stesso modo.